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Yarmuk, “Vi racconto com’è iniziata”

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Yarmuk solo contro Isis, il regime, Hezbollah ecc (di Muwaffaq Katt)

(di Qusai Zakarya, per Foreign Policy. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio). Dopo che il regime di Bashar al Asad ha passato due anni a massacrare i palestinesi nel campo di Yarmuk, dopo che i bombardamenti del regime hanno distrutto circa il 70 percento del campo, dopo che in migliaia sono stati arrestati e torturati a morte, e dopo che i civili sono stati costretti a frugare tra i rifiuti e le erbe per scongiurare la morte per fame, dopo tutto questo, il mondo sta finalmente prestando attenzione alla situazione di questo quartiere meridionale di Damasco che soffre da tempo. E tutto ciò di cui vogliono parlare è lo Stato islamico.

Credo che questa sia una vergogna. Ma visto che è quello che il mondo vuole sentire, glielo dirò. Non si può comprendere l’assalto al campo da parte dello Stato islamico né ciò che significa se non si considera anche come Bashar al Asad − come regalo al popolo palestinese − abbia trasformato un prospero quartiere con centinaia di migliaia di persone in 18 mila persone disperate che attendono la morte. Non possiamo impedire che quanto è accaduto a Yarmuk si ripeta altrove a meno che non traiamo in salvo i 600 mila civili assediati che Asad sta lasciando morire di fame.

Fatemi tornare all’inizio, quando l’assedio di Yarmuk è iniziato, sul finire del 2012. Io ero lì in quel momento perché, in quanto siro-palestinese, avevo molti famigliari che vivevano nel campo. I miei fratelli mi avevano pregato per ore di unirmi a loro in una gita nel campo, perché volevano che mi trasferissi lì nella casa di mia zia. Yarmuk allora sembrava molto più sicuro della mia città natale lì vicino, Muaddamiya, un sobborgo di Damasco a sud-ovest della capitale, dov’ero un attivista dell’opposizione.

Siamo arrivati al campo la sera del 15 dicembre 2012, nel momento in cui l’Esercito siriano libero e i suoi sostenitori palestinesi stavano facendo rapide conquiste. Come al solito, Asad rispondeva bombardando in modo indiscriminato civili innocenti. I bombardamenti ci hanno tenuti svegli per gran parte della notte, ma alla fine sono riuscito ad addormentarmi. Mi sono svegliato al suono di una enorme esplosione nelle vicinanze.

È stata la prima volta che il campo di Yarmuk veniva attaccato da un aereo da caccia. L’obiettivo del regime: la moschea Abd al Qader, un luogo di culto stracolmo di sfollati. Dalla mia finestra vedevo scene di panico e caos, schegge e parti del corpo sparse ovunque. In seguito dei carri armati sono avanzati per circondare il campo. Quando è giunto l’annuncio che ci ordinava di andarcene nel giro di tre ore o di non farlo affatto, ce ne siamo andati. Uscendo, siamo passati accanto a decine di carri armati e migliaia di soldati pronti a marciare. L’assedio di Yarmuk aveva avuto inizio.

La tattica del regime di fare un assedio in cui lasciar morire di fame per poi far arrendere è arrivata più tardi alla mia città natale, Muaddamiya, perciò ho idea di cosa stiano passando gli abitanti di Yarmuk.

La fame non è come le altre armi che Asad ha usato per ucciderci. Quando un elicottero sorvola sulla tua testa, puoi correre nello scantinato e trovare un rifugio dai barili-bomba. Quando i colpi d’artiglieria iniziano a piovere giù, puoi scappare dietro un palazzo per ripararti. Quando il regime invia carri armati e truppe, puoi correre fino alle linee del fronte e cercare di respingerli. Perfino quando è in arrivo una retata, hai qualche speranza di fuggire, nasconderti o difenderti. Invece dalla fame non puoi scappare. Quando tutta la tua città è sotto assedio, non c’è niente che tu possa fare. Tutto ciò che puoi fare è guardare i tuoi famigliari deperire davanti ai tuoi occhi.

Essere sotto assedio alimenta uno specifico tipo di disperazione. Durante la parte peggiore dell’assedio a Muaddamiya, le persone che avevano lottato per la democrazia per tre anni e avevano visto i propri amici, parenti e figli uccisi dal regime erano pronti ad arrendersi per la fame. La gente è così disperata che è disposta a fare qualunque cosa per il cibo o le risorse. Si unirebbero perfino allo Stato islamico.

Questo è ciò che è accaduto ad al Hajar al Aswad, il quartiere di Damasco a sud di Yarmuk che lo Stato islamico ha usato come rampa di lancio per attaccare il campo. In quei quartieri lo Stato islamico ha offerto soldi, cibo, armi avanzate e altre risorse ai residenti che si disperavano nel tentativo di trovare aiuto altrove. Molti di questi abitanti erano determinati a vendicare la perdita dei loro cari dopo che Asad all’inizio del 2014 ha costretto le loro città alla resa in seguito agli assedi della fame.

Lo Stato islamico ha provato a reclutare persone a Yarmuk, ma gli abitanti del luogo non hanno abboccato. Ecco perché lo Stato islamico si è servito di zone in cui si era già insediato per conquistare Yarmuk con la forza. L’assedio da parte di Asad dei civili ha aiutato lo Stato islamico anche a Yarmuk perché − dopo due anni e mezzo di fame e bombardamenti − i battaglioni locali nel campo erano troppo deboli per respingere il gruppo.

Ma questa non è tutta la storia. Gli abitanti di Yarmuk si sono stupiti nel vedere centinaia di combattenti dello Stato islamico dal sud di Damasco entrare con successo nel campo. Quando al Hajar al Aswad e Yalda erano controllati dall’Esercito siriano libero ci sono stati molti tentativi di rompere l’assedio al campo con assalti simili. Ma tutti sono stati un disastro. La zona è strettamente monitorata e controllata dalle forze di Asad. In poche parole, l’attacco dello Stato islamico non si sarebbe potuto verificare in alcun modo se Asad non l’avesse voluto.

C’è ancora un’altra domanda: come ha fatto lo Stato islamico a reperire così tante risorse in zone assediate? L’Esercito libero a Yarmuk sotto assedio aveva solo armi leggere artigianali, mentre lo Stato islamico aveva missili d’avanguardia e fucili di alta tecnologia ad al Hajar al Aswad assediato. Credetemi, i bambini non starebbero morendo di fame nella mia città se gli assedi del regime potessero essere elusi attraverso tunnel o mazzette. Queste risorse sono entrate perché il regime glielo ha permesso.

Ciò che è successo a Yarmuk e al Hajar al Aswad  può accadere in altre zone assediate della capitale. Per i siriani sotto assedio arrendersi ad Asad o unirsi allo Stato islamico sono due facce della stessa medaglia. Entrambe le scelte sono il risultato della disperazione derivante dalla fame. Quando si vede Asad vantarsi nei media del fatto che alcuni siriani assediati si sono arresi, c’è da scommettere che ce ne siano altri che in segreto si sono uniti allo Stato islamico. Finché gli assedi della fame imposti da Asad continuano a indebolire il popolo siriano, lo Stato islamico troverà una breccia con la persuasione o con la conquista.

Al momento lo Stato islamico sta puntando alla capitale Damasco. Tutti i miei amici nei sobborghi assediati vicini alla capitale hanno notato di recente un lieve aumento negli sforzi di reclutamento da parte dello Stato islamico. Sappiamo che lo Stato islamico ha un grosso vantaggio di risorse in queste zone, a volte anche silos di grano. Se l’arma della fame impugnata da Bashar al Asad non gli viene tolta, sarà solo una questione di tempo prima che altre città cadano. L’unica soluzione è rompere gli assedi. (10 aprile 2015, Foreign Policy)


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